Di Antonio Cimmino (http://www.marinai.it/navi/navstab/brin.pdf)
L’Italia, all’inizio del secolo tentò di mettersi in carreggiata con le altre nazioni marittime costruendo nuove e grandi navi da guerra. L’Inghilterra, infatti, già possedeva 29 unità di tonnellaggio maggiore, 6 gli Stati Uniti, 4 il Giappone, 2 la Francia e 2 la Russia. L’avvio della costruzione delle due navi da battaglia Regina Margherita e Benedetto Brin si inseriva appunto in tale tendenza. La corazzata Regina Margherita, gemella della Brin, già era stata impostata nel 1898 nell’Arsenale di La Spezia. Le due unità, classificate navi da battaglia, erano state elaborate dell’Ispettore del Genio Navale Benedetto Brin ( foto a snx) e, alla morte di questi, riprese con le dovute modifiche, dal Generale del Genio Navale A.Micheli.
Le due corazzate erano ottime unità sia per la loro velocità e sia per protezione edarmamento, nonché per l’abitabilità degli alloggi per l’equipaggio.
L’impostazione avvenne nel regio cantiere di Castellammare di Stabia nel 1899 ed il varo nel 1891. A causa di ritardi tecnici e burocratici, il varo si protrasse di qualche mese e la nave, sullo scalo, aumentò di peso perché i lavori continuavano. Era la prima volta che si varava una nave con un peso così grande e non poche preoccupazione sorsero tra i tecnici per la buona riuscita delle delicate operazioni di varo. Durante la permanenza dell’unità sullo scalo di costruzione, il Re visitò il cantiere per rendersi conto sull’andamento dei lavori e tornò successivamente l’anno dopo per la cerimonia del varo.
La Domenica del Corriere del 1 novembre 1900 nell’articolo “Il Re visita la “Benedetto
Brin”, così scriveva:” Insieme all’ospite e cognato suo, il principe Francesco di Battenberg, martedì della settimana scorsa S.M. il Re si è recato a bordo del “Marcantonio Colonna”, da Napoli a Castellamare di Stabia, dove in quel cantiere navale procedono alacremente i lavori di costruzione della più grande corazzata che vanterà fra qualche anno la nostra Marina da guerra: la “Benedetto Brin”. (…)l’accennata visita del Re al cantiere di Castellamare fu pretesto d’una entusiastica dimostrazione da parte di
Il Re visita la nave in costruzione
tutti gli operai addetti alla costruzione della corazzata. Essi accolsero e seguirono nel suo giro il giovane Re con interminabili applausi”. La Tribuna Illustrata della Domenica del 17 novembre 1901, in occasione del varo, scriveva:” La nostra industria navale ha celebrato un nuovo e splendido trionfo: dal cantiere di Castellammare, alla presenza dei Sovrani, la corazzata di prima classe Benedetto Brin è stata felicemente varata il 7 del corrente mese, e ora lo scafo immenso galleggia; maestoso gigante, sulle onde in attesa che l’allestimento venga a completare l’opera e dotare la flotta italiana di una nuova e potente unità. (…) il piano della nave è dovuto all’ispettore del genio navale comm. A.Micheli; iniziato dapprima secondo le idee del compianto ministro Brin, poco tempo prima della perdita del valoroso ingegnere, dovette in seguito essere radicalmente modificato dall’autore, sotto il ministro Palumbo.
Il bastimento sullo scalo di costruzione
Momenti precedenti le operazioni di varo
(…) La nave in carico normale porta una provvista di combustibile di 1000 tonnellate, colla quale provvista ha un raggio d’azione di circa 5000 miglia alla velocità economica di 10 miglia per ora. È capace però di portare altre 1000 tonnellate di carbone di riserva, raddoppiando allora il suo raggio d’azione. I carbonili sono disposti in modo che il combustibile concorra alla protezione delle parti vitali della nave. Lo scafo è costruito intieramente in acciaio dolce MartinSiemens …; è suddiviso internamente con numerose paratie longitudinali e trasversali; è munito di doppio fondo esteso per tutto il tratto occupato dall’apparato motore e dai depositi di munizioni. (…) L’uso del legno, in vista del pericolo d’incendio in combattimento è stato del tutto escluso, rimanendo solo il sfasciamento del ponte di coperta, che non implica sotto questo riguardo pericolo di sorta”.
La nave pronta a muovere e mentre scivola sull'avantiscalo
La Domenica del Corriere del 17 novembre 1901 così scriveva:” Della grande corazzata Benedetto Brin, che fu varata giovedì della settimana scorsa. A Castellamare, abbiamo parlato in precedenza… 4 Abbiamo riprodotto una fotografia che mostrava la Brin su lo scalo, pronta ormai per essere lanciata in mare. Ora godiamo annunciare che il varo è avvenuto senza che si producesse il più lieve inconveniente. I differenti lavori necessari a liberare l’immane scafo durarono meno di mezz’ora; e dal taglio delle cosiddette trinche, che dopo abbattuti i puntelli costituiscono l’unico ed ultimo ritegno alla immersione in mare non passarono che due minuti. Le notizie relative al varo della Benedetto Brin erano stavolta attese con una certa trepidazione, perché occorre sapere che nessuna altra nave da guerra aveva mai prestato sin qui tanto rischio
Puntelli ed impalcature avvolgono lo scafo
Al momento del varo la Benedetto Brin spostava infatti oltre settemila tonnellate, mentre la Dandolo fu varata con 4100 tonnellate di materiale, la Lepanto con 4200, la Umberto I con 4400 e la Regina Margherita, gemella della Brin e scesa in mare nella primavera scorsa, con 6000, questa differenza di peso dipese dal fatto che essendosi ritardato per diverse ragioni il varo, i lavori a bordo seguitarono senza tregua rendendo così più pesante lo scafo al momento del varo “.
Si benedice la nave e si tolgono di puntelli laterali
Dislocamento normale era di 13.427 tonnellate. Pieno carico di 14.574 tonnellate.
Lunga 138,6 metri; Larga 23,8; Immersione di 8.9 metri.
L’apparato motore era composto da 28 caldaie che alimentava due motrici alternative che sviluppavano un potenza di 20.000 cavalli per una velocità di 20 nodi.
Il combustibile era rappresentato da circa 1.000 tonnellate di carbone. I localicarbonili erano sistemati in modo tale da offrire protezione ulteriore in caso di attacco di artiglierie.
In quanto corazzata, la nave possedeva una buona protezione sia orizzontale, sul ponte e sia verticale, nonché alle artiglierie ed al torrione di comando. Sempre dalla Tribuna Illustrata del 17 novembre si legge:” Riguardo alla protezione di corazza, la nave si può definire come una nave a cintura completa e cittadella centrale corazzata, con ponte cellulare di protezione corazzato ai fianchi, con ridotti circolari e cupole pei cannoni da 305, con casematte pei cannoni da 203. La protezione è completata da strati orizzontali di lamiera di acciaio duro speciale ricoprenti dal di sopra tutte le parti protette da corazze verticali. Le corazze della cintura hanno la grossezza di 15 cent. ridotta a 10 soltanto verso le estremità; eguale grossezza di 15 cent si ha per le murate della cittadella (corridoio e batteria) e per le pareti esterne delle casematte, laddove le traverse a maggiore difesa contro i tiri d’infilata, hanno la grossezza di 20 cent. Hanno pure la grossezza di 20 cent le corazze dei ridotti circolari. Le parti inclinate del ponte di protezione sono coperte da piastre della grossezza di 8 cent., mentre la parte piatta centrale è coperta da grosse lamiere di acciaio duro. Al di sotto della cintura di corazza è stato studiato ed applicato un sistema speciale di struttura rinforzata a difesa contro le armi subacquee…”.
L’armamento era così composto: - 4 cannoni da 305/40 mm i due torri binate poste una in caccia e l’altra in ritirata, con una cadenza di colpi di 1 al minuto, del peso di 417 chili e con una velocità 780 metri/sec.; - 4 cannoni da 203/45 mm. posti in coperta ed alloggiati in casematte; - 12 cannoni da 152 mm. sei per fianco nel ridotto; - 20 pezzi da 47 mm.; - 2 pezzi da 47 e 2 da 37 mm., nonché 2 mitragliere; - 4 tubi lancia siluri da 450 mm, sistemati 2 sotto la linea di galleggiamento e due sopra.
La nave, completata il 1° settembre 1905, entrò in servizio il 1° aprile 1906 ed a La Spezia ricevette la bandiera di combattimento. Partecipò alla guerra italo-turca. Il 19 aprile del 1912, unitamente alle navi Saint Bon, Filiberto, Regina Margherita ed agli incrociatori Ferruccio, Amalfi e Pisa bombardò gli Stretti dei Dardanelli; il 24 dello stesso mese fornì un contingente di marinai per occupare l’isola di Rodi.
Inquadrata nella II Divisione, I Squadra formata dalla unità gemella Regina Margherita e dalle navi Filiberto e Saint Bon, nonché da un gruppo di siluranti, scortò un convoglio di navi che trasportava armi e soldati ( piroscafi Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour e Valparaiso) e partecipò al bombardamento di Tobruch ed alla sua occupazione, nonché alle operazioni contro Bengasi e la Cirenaica.
Allo scoppio della I guerra mondiale, l’unità si trovava nel porto di Brindisi, sede del Comando del Basso Adriatico e delle navi e sommergibili impegnati nelle operazioni navali.
Lunedì 27 novembre 1915 ad appena quattro mesi dall’inizio delle ostilità, alle ore 8,00 si udì un violentissimo boato e la nave, ormeggiata nel porto medio in prossimità della spiaggia di Marimist, si inabissò lentamente per lo scoppio della santa barbara. Uno spettacolo spaventoso di presentò agli occhi dei presenti. La torre poppiera fu scagliata in aria, mentre il fumaiolo e l’albero di poppa, frantumati in piccoli pezzi ricadeva in mare attorno al colosso agonizzante. In considerazione dell’ora della tragedia, tutto l’equipaggio si trovava a bordo e dei 943 uomini che in quel momento erano imbarcati, ne morirono 456 dilaniati dagli scoppi, schiacciati dai crolli dei ponti e delle paratie, inabissati con la nave. Trovarono la morte anche l’Ammiraglio di Divisione Ernesto Rubin de Cevin ed il Comandante della nave Capitano di Vascello Gino Fara Forni.
Fausto Leva, un testimone oculare così descrisse la catastrofe:” …nel fumo denso si distinse per un momento la massa d’acciaio della torre poppiera dei cannoni da 305 mm., che lanciata in aria dalla forza dell’esplosione fino a metà della colonna, ricadde poi violentemente in mare, sul fianco sinistro. Pochi momenti dopo, dissipato il nembo del fumo, lo scafo della B.Brin fu veduto appoggiarsi senza sbandamento sul fondo di dieci metri e scendere ancora lentamente, formandosi un letto nel fango molle. Mentre la prora poco danneggiata si nascondeva sotto l’acqua che arrivava a lambire i cannoni da 152 della batteria, la parte poppiera completamente sommersa appariva sconvolta e ridotta ad un ammasso di rottami. Caduto il fumaiolo e l’albero di poppa, si erge ancora dritto e verticale l’albero di trinchetto” (Teodoro G. Andriani, La base navale di Brindisidurante la grande guerra, 1993).
La folla muta assistette al recupero dei corpi dilaniati e a dei superstiti che furono raccolti dalle imbarcazioni delle altre navi, italiane e francesi presenti nel porto, e portati nelle loro infermerie, nell’ospedale della Croce Rossa e nell’Albergo Internazione, subito adibito ad infermeria d’emergenza. La Marina emanò un comunicato nel quale si asseriva che la nave era affondata per lo scoppio del deposito munizioni. Furono ipotizzate varie ipotesi da una apposta Commissione d’inchiesta:
1^ ipotesi lancio di un siluro da parte di un sommergibile austriaco ( subito scartato in quanto l’ingresso del porto era protetto da rete antisommergibile);
2^ ipotesi,
la santa Barbara, non adeguatamente coibentata, era troppo vicino alla sala macchine e la paratia stagna poppiera non era stata in grado di fermare il calore che non veniva adeguatamente disperso dai ventilatori, provocando lo scoppio, per autocombustione della balistite, un potente esplosivo che esplodeva senza produrre fumo ( nei giorni seguenti tutta la balistite fu sbarcata dalle altre navi);
3^ ipotesi,
un sabotaggio da parte di traditori italiani ed elementi del servizio segreto austriaco. Si optò per la terza ipotesi in quanto nel corso dell’anno si erano verificati diversi sabotaggi ad impianti militari ed industriali ( fabbrica di dinamite di Genova; centrali idroelettriche ed hangar per dirigibili ad Ancona; incendi di magazzini nei porti di Napoli e Genova).
Il successivo sabotaggio della corazzata Leonardo da Vinci avvenuto nel porto di Taranto la notte del 2 agosto 1916, creò nell’opinione pubblica italiana un certo sconforto. La nave consegnata due anni prima esplose a cause di bombe ad orologeria collocate dai sabotatori nelle ceste del vitto per l’equipaggio. Nello scoppio morirono 209 persone; il comandate Sommi Picenardi morì due giorni dopo per le ferite riportate.
La frequenza dei sabotaggi mise in allerta il controspionaggio della Marina nella persona del Capitano di Vascello Marino Laurenti che riuscì a scoprire che la centrale nemica era presso il consolato austriaco di Zurigo nella persona del falso console Capitano di Corvetta Rudolph Mayer. Fu organizzata una task force composta dal Capitano di Corvetta Pompeo Aloisi, dal marinaio Stenos Tanzini e dagli agenti segreti Salvatore Bonnes, Ugo Cappelletti nonché lo scassinatore Remigio Bronzin, fatto uscire appositamente dal carcere di Livorno. Il gruppo si recò in Svizzera e riuscì a trafugare dalla cassaforte del consolato austriaco materiale compromettente più l’elenco delle spie e degli agenti segreti operanti in Italia. Si appurò che si stava brigando per far saltare anche la nave da battalia Giulio Cesare nel porto di La Spezia.
Con tale azione fu debellata una pericolosa rete di sabotatori che stavano mettendo in serio pericolo le sorti della guerra sul mare.
009 C Benedetto BRIN 1901 |