RIZZO,Luigi. – Nacque a Milazzo (Messina) l’8 ottobre 1887 da Giacomo e da Maria Giuseppa Greco; era quinto di sei figli (Giovanni, Maria, Domenico, Stefano, Luigi, Giovanna), in una famiglia che aveva spiccate tradizioni marinare e patriottiche.
Il capitano Giuseppe Rizzo, ascendente del padre, al comando del brigantino Marianna aveva navigato tra Sicilia, Norvegia, Brasile e Stati Uniti dalla fine del XVIII secolo al 1835. Lo zio paterno di Luigi, Giovanni Rizzo, dopo aver combattuto con Giuseppe Garibaldi in Sicilia nel 1860, si era arruolato nella Regia Marina, al servizio della quale, allievo pilota sulla pirofregata corazzata Re d’Italia, aveva perduto la vita nella battaglia di Lissa (20 luglio 1866). Anche il nonno materno, Greco, era stato comandante di navi, e i suoi figli, Giuseppe e Francesco, dopo aver navigato sui velieri di Milazzo che trasportavano gli emigranti, ebbero un piroscafo loro, il Siciliano, e ne affidarono il comando al cognato Giacomo e poi al figlio maggiore di questi, Giovanni.
Abituato fin da piccolo alla vita di mare, Luigi compì gli studi al Nautico di Messina, dove si diplomò nel 1905; ebbe i primi imbarchi da mozzo sul veliero Speme – a bordo del quale visse una pericolosa avventura, poiché durante una traversata atlantica la nave fu investita da una violenta tempesta e giunse disalberata a Buenos Aires – e sul piroscafo Siciliano degli zii, impiegato nel trasporto di carbone e grano nel Mediterraneo. Dal 1907 al 1912 navigò come primo ufficiale a bordo del piroscafo Livietta, che faceva la spola tra Genova e la Gran Bretagna. Capitano di gran cabotaggio nel 1911, all’inizio dell’anno seguente divenne capitano di lungo corso e in marzo superò anche gli esami per sottotenente di vascello di complemento nella riserva della Regia Marina; ma, pur essendo in possesso di questi titoli, in mancanza di offerte migliori tornò sulla Livietta con l’incarico precedente. Come allora frequente nella sua professione e al suo livello sociale, si affiliò alla massoneria, associandosi alla loggia 20 luglio 1860 di Milazzo. Nella seconda metà del 1912 vinse un concorso indetto dall’amministrazione del porto romeno di Sulimà (l’attuale Salina), nel delta del Danubio, dove con un piccolo rimorchiatore – una ‘pilotina’ da 20 t – e molto coraggio riuscì a effettuare il difficile salvataggio di una nave alla deriva, ciò che gli valse il conferimento di una medaglia d’oro al valor civile da parte del governo romeno.
Scoppiata la prima guerra mondiale, nell’agosto del 1914 fu chiamato in servizio attivo e destinato per brevi periodi all’isola della Maddalena (in Sardegna) e a Venezia. Promosso tenente di vascello di complemento il 1° giugno 1915 – pochi giorni dopo l’ingresso in guerra dell’Italia –, venne assegnato alla difesa marittima di Grado (da cui sarebbe dipeso fino al 20 gennaio 1917). Questo isolotto costiero-lagunare, situato all’ingresso del golfo di Trieste, era stato evacuato dagli austriaci il primo giorno di guerra, il 24 maggio, e occupato dagli italiani tre giorni dopo; di là prese le mosse la straordinaria avventura bellica di Rizzo, il combattente della Marina più decorato di tutti i tempi.
Operando da osservatore su idrovolanti in Alto Adriatico, si distinse in numerose circostanze per spirito di iniziativa, coraggio e abilità tecnica, tanto che il 30 novembre ottenne una prima medaglia d’argento e fu nominato tenente di vascello in servizio attivo permanente per meriti speciali di guerra. Trasferito nella nuova arma dei MAS, nel maggio del 1916 ebbe il comando della squadriglia di Grado.
Creati nel giugno del 1915 nei cantieri della SVAN (Società Veneziana Automobili Navali), i MAS (la cui sigla aveva inizialmente il significato di Motobarche Armate SVAN, ma ebbe nei decenni successivi interpretazioni diverse) erano motoscafi molto veloci e di limitato tonnellaggio, armati soprattutto di siluri e destinati a rapide incursioni contro i porti o le navi.
Rizzo effettuava frequenti missioni esplorative nel golfo e nell’antiporto di Trieste, dove compì diverse imprese rischiose, come quando condusse di giorno, nel gennaio del 1917, il motoscafo Oleander a ridosso della diga esterna, sfuggendo poi, sotto la costa di Miramare, all’inseguimento di siluranti austriache. Il 23 maggio conseguì la seconda medaglia d’argento per essersi trattenuto – benché sottoposto al tiro delle batterie nemiche e agli attacchi dall’alto – allo scopo di catturare due aviatori nemici di un idrovolante costretto ad ammarare. La rotta italiana di Caporetto (24 ottobre) costrinse la Regia Marina a sgomberare le postazioni costiere dell’Alto Adriatico (fino all’estuario del fiume Piave), compresa quella di Grado. In seguito alla nuova situazione – che liberava dalla minaccia italiana il grande porto di Trieste –, due corazzate guardacoste austriache – la Wien e la Budapest – furono trasferite dal piccolo porto di Pola a Trieste, facendo gravare la minaccia del fuoco navale sulle postazioni costiere ancora in mani italiane; per fronteggiare il pericolo crebbe ancora l’impegno del naviglio leggero, e l’azione personale di Rizzo meritò una terza medaglia d’argento (30 dicembre), concessa per le qualità militari dimostrate nelle missioni compiute nei ventinove mesi di Grado «e per il contegno calmo, sereno e sprezzante del pericolo tenuto durante il ripiegamento».
Ma già in precedenza, nel corso dello stesso mese di dicembre, Rizzo aveva compiuto una ben maggiore impresa, preparata da audaci ricognizioni all’ingresso del vallone di Muggia, nell’ultima delle quali, la notte del 13 ottobre, si era trattenuto a lungo sulla diga esterna del porto di Trieste per rendersi bene conto delle ostruzioni e degli ostacoli esistenti. Con una sezione di MAS (il 9 e il 13) tornò la notte del 9 dicembre e ormeggiò i suoi motoscafi direttamente al molo esterno; in due ore furono tagliati sette cavi d’acciaio e fu aperto un varco, attraverso il quale, spinti dai silenziosi motori elettrici, i MAS penetrarono all’interno del porto. Individuato l’ancoraggio delle corazzate, alle 2,32 Rizzo lanciò due siluri che centrarono la Wien nei locali delle caldaie, provocando il rapido affondamento della nave, che trascinò con sé 46 uomini dell’equipaggio. Anche dal MAS 13 – comandato dal capo timoniere Andrea Ferrarini – si lanciarono alcuni siluri, ma senza successo, contro la Budapest. Esploso l’allarme generale, furono accesi i motori a scoppio e il MAS 9 si proiettò all’esterno del porto, seguito dall’altro motoscafo. Il decreto reale di concessione della medaglia d’oro al valor militare la motivò «per la grande serenità e abilità professionale e pel mirabile eroismo dimostrati nella brillante, ardita ed efficace operazione da lui guidata, di attacco e di distruzione di una nave nemica entro la munita rada di Trieste». Il 1° gennaio 1918 Rizzo fu promosso capitano di corvetta per merito.
Durante il soggiorno a Grado, Rizzo aveva conosciuto la figlia del medico Angelo Marinaz, Giuseppina, con la quale si fidanzò, fissando il matrimonio per il giorno 28 ottobre 1917 a causa dei tempi lunghi necessari per ottenere i documenti della ragazza, ancora formalmente austriaca. Ma il 24 ottobre, come detto, sopravvenne la rotta di Caporetto, che richiese un impegno straordinario al naviglio leggero italiano, tanto che anche la notte tra il 27 e il 28 ottobre Rizzo era in missione sul MAS 2; non volle tuttavia cambiare la data fissata e alle 14,30, mentre Grado era sotto attacco aereo, raggiunse in bicicletta la basilica dei Ss. Ermacora e Fortunato, dove il matrimonio fu celebrato. Subito la sposa venne imbarcata per Venezia, dove il 30 all’alba, con gli ultimi reduci da Grado, arrivò anche Luigi e poté stare con lei fino alle 8 di sera: solo a fine dicembre gli sposi avrebbero avuto alcuni giorni per loro.
All’inizio del 1918 Gabriele D’Annunzio volle Rizzo con sé in quella che sarà poi chiamata ‘la beffa di Buccari’: un’impresa – di valenza più propagandistica che militare – avente lo scopo di forzare la baia di Buccari (odierna Bakar, in Croazia), poco a Est dell’Istria, dove erano stanziate diverse unità navali austriache. Partita da Venezia, una squadriglia comandata dal capitano di fregata Costanzo Ciano e composta dai MAS 94, 95 e 96 – quest’ultimo al comando di Rizzo –, entrò nel braccio di mare del Quarnaro (a Sud-Est dell’Istria) nella notte tra il 10 e l’11 febbraio: a Buccari vennero lanciati sei siluri contro quattro piroscafi alla fonda, ma senza successo, e furono poi lasciate nelle acque del porto tre bottiglie contenenti un ‘cartello di scherno’ scritto da D’Annunzio; malgrado alcuni contrattempi, anche il ritorno si concluse felicemente ad Ancona, la mattina seguente. La partecipazione all’impresa valse all’ufficiale siciliano, che pure non l’aveva affrontata da protagonista, la quarta medaglia d’argento, che faceva riferimento alla sua «prova di sereno coraggio nell’audace attacco al naviglio nemico nella lontana e munita baia di Buccari».
Ma dopo questo ciclo di imprese, che aveva attirato su di lui l’attenzione, Rizzo attraversò un momento opaco: trasferito dall’Alto Adriatico alla squadriglia MAS di Ancona, era tormentato da malanni fisici e afflitto dalla sensazione di essere emarginato per la bocciatura di alcune sue proposte operative e per l’esclusione dalla squadriglia dei ‘barchini saltatori’, MAS di nuova concezione (utilizzavano ramponi mobili in grado di aggrapparsi alle reti protettive dei porti e poi di scavalcarle) con i quali si progettava di forzare la base nemica di Pola.
Da Ancona i MAS operavano nelle acque della Dalmazia partendo nel pomeriggio e restando tutta la notte in agguato. Ma Rizzo era sempre scontento, tanto che il 9 giugno scrisse sconfortato a D’Annunzio che i guai, contrariamente alla sua speranza che fossero ormai passati, pareva cominciassero allora (Gardone Riviera, Archivio del Vittoriale, AG Luigi Rizzo, XC, III, 2). Quel giorno stesso prese il mare con una sezione di MAS (il 15, su cui era imbarcato, e il 21, agli ordini del guardiamarina Giuseppe Aonzo) per uno dei soliti agguati vicino all’isola di Premuda (oggi in Croazia); lunghe ore passarono inutilmente, finché alle 3,15 del giorno 10 una grande nuvola di fumo lo pose in allarme. La motivazione della seconda medaglia d’oro narra sinteticamente i fatti: «avvistava una poderosa forza navale nemica composta da due Corazzate e numerosi Cacciatorpediniere, e senza esitare, noncurante del grande rischio, dirigeva immediatamente con la sezione all’attacco. Attraversava con incredibile audacia e somma perizia militare e marinaresca la linea fortissima delle scorte, e lanciava due siluri contro una delle due Corazzate nemiche colpendola ripetutamente in modo da affondarla: liberavasi con grande abilità dal cerchio di Cacciatorpediniere che da ogni lato gli sbarrava il cammino e, inseguito e cannoneggiato da uno di essi, con il lancio di una bomba di profondità lo faceva desistere dall’inseguimento». Nella concitazione dell’azione e del successivo disimpegno, Rizzo non colse il tipo e il nome della nave che aveva affondato – era la Szent István (Santo Stefano), una dreadnought (corazzata monocalibro) varata nel 1914 che dislocava 20.000 t – e fu Alberto Briganti, un aviatore che aveva svolto molte ricognizioni sulle basi nemiche, a suggerirgliene almeno la classe. Promosso per merito di guerra capitano di fregata pochi giorni dopo, il 16 giugno, Rizzo divenne un eroe nazionale, e in seguito il 10 giugno fu assunto come data per la festa della Marina.
In aspettativa a domanda dal maggio del 1919, negli ultimi mesi di quell’anno partecipò alla fase iniziale dell’impresa di Fiume, durante la quale ebbe un ruolo di rilievo.
L’occupazione di Fiume (odierna Rijeka, in Croazia) – effettuata nel settembre del 1919 da parte di alcune migliaia di disertori delle forze armate italiane capeggiate da D’Annunzio – fu causata dal fatto che questa città costiera dell’Alto Adriatico (la cui popolazione era in parte italiana) sembrava dovesse essere assegnata alla Jugoslavia dal trattato di pace in discussione a Versailles. Rizzo fu nominato comandante della flotta dell’effimero governo autonomo di Fiume, e fu in gran parte per merito del suo prestigio personale e della sua opera di propaganda nella Regia Marina che sei navi da guerra italiane passarono sotto gli ordini delle nuove autorità fiumane, permettendo così il rifornimento della città nonostante il blocco navale decretato dal governo italiano. Nel corso dell’impresa di Fiume, Rizzo sostenne comunque sempre posizioni conciliatorie e favorevoli al compromesso, mettendosi così in contrasto con gli esponenti ‘fiumani’ più estremisti, tanto che nel gennaio del 1920 lasciò la città.
In quegli stessi anni si dedicò nuovamente alla marina mercantile, collaborando con il capitano Giuseppe Giulietti al vertice della cooperativa Giuseppe Garibaldi, fondata nel settembre del 1918 e collegata con la Federazione italiana lavoratori del mare (FILM); la cooperativa era nata con l’idea di esercitare autonomamente la navigazione commerciale, così da assicurare un reddito professionale ai soci e influenzare per quanto possibile il mercato dei trasporti marittimi. Occorreva a tal fine ottenere dal governo la cessione di alcune navi catturate al nemico con le medesime facilitazioni concesse agli armatori. A conclusione di una lunga trattativa, nell’aprile del 1920 Rizzo ottenne cinque piroscafi, che furono ribattezzati Belluno, Brescia, Crema, Mameli e Ferrara; un successivo contrattempo, derivato dalla bocciatura della cessione alla Camera, si risolse in un ulteriore utile per la cooperativa e in un danno per lo Stato, che finì per pagare anche le riparazioni migliorative delle navi. L’impegno di Rizzo in favore della gente di mare si estese anche alla costituzione di casse previdenziali marittime per malattie e infortuni e alla riorganizzazione del lavoro portuale a Genova, dove nel 1926 fondò la società Calatimbar (Calate magazzini esportazione imbarchi), destinata ad agire all’interno del segmento operativo imbarco merci.
Nel luglio del 1920 fu dispensato a domanda dal servizio permanente effettivo e trasferito alla riserva navale. Con i fondi del premio assegnatogli per l’affondamento della Szent István acquistò una villa a Pegli, sobborgo occidentale di Genova, dove si stabilì. Nei primi anni del dopoguerra gli nacquero i tre figli: Giacomo (1919), Giorgio (1921), Maria Guglielmina (1924).
Nell’autunno del 1920 Rizzo prese pubblicamente posizione in difesa dell’ammiraglio Giovanni Sechi – ministro della Marina dal giugno del 1919 al luglio del 1921, nei governi Nitti e Giolitti –, attaccato dai nazionalisti che ne pretendevano le dimissioni perché il trattato di Rapallo, firmato il 12 novembre, aveva concesso alla Jugoslavia gran parte della Dalmazia: secondo Rizzo il possesso di questa regione non aveva valore strategico, perché nel caso di un attacco futuro all’Italia «gli invasori verranno a sciami, come immensi voli di anitre, per le via dell’aria e non si fermeranno alla costa. Non attaccheranno le povere città adriatiche del mare, ma le città più popolose dell’interno, i centri industriali, là dove si foggiano gli strumenti di guerra. Saranno migliaia di bombe che pioveranno dal cielo, saranno migliaia di uomini che caleranno dall’aria» (Chi dovrebbe dimettersi, in La tribuna, 21 novembre 1920, cit. in Andriola, 2000, pp. 181 s.).
Durante gli anni Venti, pur non essendo omogeneo al fascismo per le sue amicizie socialiste, era pur sempre un eroe nazionale di guerra, e non venne realmente perseguitato (nel maggio del 1925 fu addirittura promosso capitano di vascello nella riserva), però fu oggetto della sorveglianza, talvolta fastidiosa, della polizia. Nel 1927, avvicinandosi il decennale dell’impresa di Premuda, pubblicò un volumetto rievocativo (L’affondamento della Santo Stefano e le sue conseguenze militari e politiche, edito a Trieste da Mico Susmel), che segnò una sua prima apertura al regime: «il mio pensiero si rivolge a tutti i nostri Morti in guerra, mentre un fervido augurio parte dal mio cuore: che superati alfine contrasti e dissidi nocivi, un sentimento di fraterna solidarietà ci avvinca sempre, o Combattenti, per ritrovarci, con unica volontà di vittoria, ogni volta che l’Italia chiamasse» (prima pagina non numerata della Premessa). Seguì la svolta, nel senso «che sulla base dei valori combattentistici e della difesa coraggiosa e disinteressata della Nazione, lo Stato fascista poteva contare sull’aiuto disinteressato dell’Affondatore» (così D’Annunzio aveva soprannominato Rizzo; Andriola, 2000, pp. 232 s.). Da allora l’anniversario di Premuda venne celebrato ed esaltato con particolare rilievo, mentre svaniva gradualmente la freddezza che aveva caratterizzato in precedenza i rapporti tra il regime e Rizzo, il quale, nell’ottobre del 1932, fu promosso contrammiraglio e insignito, con motuproprio del re Vittorio Emanuele III, del titolo (trasmissibile) di conte di Grado.
A sua richiesta, nel 1935 rientrò nel servizio attivo della Marina per la guerra d’Etiopia e il 18 giugno 1936 fu nominato ammiraglio di divisione per meriti eccezionali. Presidente della compagnia di navigazione messinese Eolia e consigliere della Finmare (Società marittima finanziaria), nel 1937 venne chiamato alla presidenza di un’altra compagnia di navigazione, il Lloyd triestino (dove succedette ad Alfredo Dentice di Frasso, che era stato suo superiore a Grado dal febbraio del 1916). Fioccavano ormai per lui le onorificenze, e nel 1940 fu designato vicepresidente della Corporazione del mare e dell’aria e membro della Camera dei fasci e delle corporazioni, in seno alla quale si occupò di servizi marittimi.
Tornato in servizio a domanda nel 1940, si occupò della lotta antisommmergibile come ispettore, ma il suo ruolo fu breve e poco incisivo. Nel febbraio del 1941 riprese a tempo pieno il suo ruolo al Lloyd triestino, cui un anno dopo si sarebbe aggiunta la presidenza dei Cantieri riuniti dell’Adriatico, principale struttura cantieristica del Paese. Nel settembre del 1941 un regio decreto gli aveva concesso di aggiungere «e di Premuda» al titolo di conte di Grado.
Il 9 settembre 1943 Rizzo ordinò di sabotare a Trieste due transatlantici e un piroscafo per evitarne la cattura da parte dei tedeschi. Quando giunse notizia in città che suo figlio Giorgio, sottotenente di vascello al comando di un MAS, era rimasto ucciso a Piombino il 16 settembre sotto un bombardamento tedesco, l’ammiraglio si scontrò con le autorità occupanti che gli negavano il permesso di recarsi all’Elba. Partì ugualmente e recuperò da una fossa comune il corpo del figlio, ma al ritorno i rapporti con i tedeschi che governavano il ‘Litorale adriatico’ andarono sempre peggiorando, anche per la puntigliosa difesa degli interessi economici degli operai dei cantieri triestini condotta dal loro presidente.
Il ‘Litorale adriatico’ (propr. Zona d’operazioni del Litorale adriatico, in tedesco Operationszone Adriatisches Küstenland) era un’area – comprendente le province allora italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana – che dal settembre del 1943 fu sottoposta alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto era sottratta all’autorità della Repubblica sociale italiana, della quale ufficialmente faceva parte. In pratica si trattava di una sorta di ‘preannessione’ di questi territori da parte della Germania nazista, la quale vi esercitò un controllo molto più stretto che nel resto dell’Italia occupata.
Il 4 aprile 1944 l’ammiraglio fu arrestato e tradotto nel carcere di Klagenfurt in Austria, dove la Gestapo gli contestò di avere ordinato il sabotaggio delle navi e di avere intralciato il lavoro nei Cantieri riuniti. Venne poi trasferito in soggiorno obbligato nella cittadina montana di Hirschegg, in prossimità del confine bavarese, in un campo d’internamento che accoglieva personaggi di spicco di vari Paesi (tra cui Anne d’Orléans – duchessa d’Aosta –, la principessa Irene di Grecia – duchessa di Spoleto –, Francesco Saverio Nitti, l’ex capo della polizia Carmine Senise, l’ex presidente del Consiglio francese Albert Sarraut, l’ex ambasciatore francese a Roma André François-Poncet); la liberazione giunse all’inizio di maggio del 1945 a opera di forze francesi.
Nel dopoguerra commissioni inquirenti civili e militari riconobbero a Rizzo di non aver ricavato profitti illeciti durante il ventennio fascista e di essersi condotto conformemente alle leggi dell’onore.
Morì a Roma il 27 giugno 1951.
Fonti e Bibl.: Archivio dell’Ufficio storico della Marina militare, Roma, Stato di servizio della M.O. ammiraglio di divisione R.N. Luigi Rizzo, Conte di Grado, cart. R 1, f. 21; Note biografiche, ibidem.
Ufficio del Capo di stato maggiore della Marina (Ufficio storico), Cronistoria documentata della guerra marittima italo-austriaca (1915-1918), Collezione Preparazione dei mezzi e loro impiego, f. IX, Le gesta dei M.A.S., s.l., s.d., e Collezione Impiego delle forze navali - Operazioni, f. X, L’azione di Premuda, 10 giugno 1918, s.l., s.d.; G. Salotti, Giuseppe Giulietti. Il sindacato dei marittimi dal 1910 al 1953, Roma 1982, pp. 554-582; Ufficio storico della Marina militare, La Marina Italiana nella Grande Guerra, VI, (S. Salza, La lotta contro il sommergibile dall’ottobre 1917 al gennaio 1918, Firenze 1939, pp. 431-435, e VII, S. Salza, La vittoria contro il sommergibile dal gennaio al luglio 1918, Firenze 1940, pp. 175-185; F. Andriola, Luigi Rizzo, Roma 2000.
M. O. V. M. Luigi RIZZO: PER NOI SEMPRE P R E S E N T E
O N O R I - A- L U I
L'Affondatore Luigi RIZZO
da https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-rizzo_(Dizionario-Biografico)/
Siamo trenta d'una sorte,
e trentuno con la morte
Eia, l'ultima Alalà
Siamo trenta su tre gusci,
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte paro a paro
Eia, carne del Carnaro!
ETC...
Tanto per rimanere "in tema"
La medaglia per Buccari, è riferita
alla "Beffa"dal il resoconto di
D'Annunzio.