Tratto dal libro di Carlo DE RISIO "L'AVIAZIONE DI MARINA"
La Marina italiana prese per la prima volta in considerazione l'ala rotante nella metà degli anni trenta, per accrescere e migliorare la componente aerea imbarcata. All'epoca, l'elicottero, come lo conosciamo oggi, era ancora in fase sperimentale, mentre il "convertiplano" o autogiro (voce creata dall'inventore, Juan de la CIERVA*, nel 1920) aveva richiamato l'attenzione anche della Marina britannica, americana e francese. Pur trattandosi di un velivolo di limitate prestazioni, l'autogiro fu imbarcato, per una serie di prove, sull'incrociatore pesante Fiume. Le prove iniziarono nel gennaio 1935. Nei settori poppieri del Fiume era stata sistemata una piattaforma, di foggia trapezoidale, lunga 40 metri, larga 15 verso prora e 10 metri verso poppa estrema ; il velivolo imbarcato era del tipo C-30 Mark I. Prove di decollo e appontaggio furono effettuate a La Spezia il 4 gennaio 1935 con nave ferma, il 6 gennaio con la nave in moto, a varie velocità. Per quanto l'autogiro risultasse interessante, si potè constatare che non era in grado di garantire un impiego sicuro e, soprattutto, di costituire un apporto significativo per la ricognizione. Si preferirono ancora i piccoli biplani "Ro.43".
*Juan de la Cierva y Codorníu è stato un ingegnere, inventore e aviatore spagnolo, fondatore nel 1925 della Cierva Autogiro Company è considerato uno dei pionieri dell'aviazione. Nato il 21 settembre 1895, Murcia, Spagna; Deceduto il 9 dicembre 1936, Croydon, Regno Unito in seguito ad un incidente aereo.
UNO STRANO VELIVOLO
(ovvero di alcune vicissitudini della Marina per dotarsi di una propria componente aerea)di Mario Cecon
La concezione dell'auotogiro si colloca fra quello dell'aereo tradizionale e quello dell'elicottero, sostazialmente si tratta di un aereo privo di ali ( o con due moncherini) e munito superiormente alla fusoliera di un rotore in folle generalmente mosso dall'aria di spostamento del velivo per creare portanza. Su tale rotore può venir innestato l'asse del motore di trazione, in modo da aumentare la portanza, particolarmente nelle fasi critiche di decollo e appontaggio.
In definitiva, l'autogiro è in grado di atterrare praticamente sulla verticale, decolla in spazi ridottisimi e mantenersi in volo a velocità di traslazione minima, data la sua scarsissima attitudine al pericolo di una perdita di velocità a causa della sostentazione data da una superficie rotante.
Quello che l'autogiro, cosi come concepito, non è mai riuscito, non riesce tutt'ora e mai ci riuscirà a fare è, al contrario dell'elicottero, di mantenersi in volo a velocità nulla e quota costante. Esso deve traslare ad una certa, seppur ridotta, velocità.
Nel 1934, le autorità navali italiane avevano preso contatto con la società britannica "Cierva Autogiro Company" di Sauthampton, collegata con la più nota Auro, dato il potenziale interesse delle stesse a valutare le possibilità di poter sostituire gli idrovolanti osservatori imbarcati catapultabili di prestazioni limitate, il cui incoveniente era quello di non poter essere recuperati in navigazione, appunto con l'autogiro.
Alla fine dello stesso anno, venne portato in volo dall'Inghilterra a Sarzana un autogiro C.30, e, presa la decisione di effettuare le prove a bordo del Fiume, sulla poppa dello stesso venne installata una piattaforma in legno, lunga all'incirca una quarantina di metri e larga dai 10 ai 15 mt.
Le prove iniziarono l'anno successivo e, nonostante le molte difficoltà incontrate, riuscirono tutte con esito positivo.
Tali prove furono programmate con l'incrociatore nelle seguenti condizioni:
-all'ancora senza vento;
-all'ancora con poco vento;
-in navigazione a varie velocità.
L'autogiro sarebbe stato sempre al carico minimo.
Per citare qualche difficoltà superata, ricordiamo ad esempio, oltre all'impossibilità della macchina di mantenersi in volo stazionario, le dimensioni contenute della piattaforma e la totale assenza , sulla stessa. di qualsiasi sistema di frenaggio.
L'aremobile inoltre non aveva ipersostentatori di alcun genere, per cui il pilota, per non rischiare inutilmente doveva usufruire dei primi metri della piattaforma, scendendo quindi ad alta incidenza ed elevato regime, appontando sui tre punti.
In questa maniera, con il muso in alto, il pilota era privo di visibilità, per cui era costretto a presentarsi all'appontaggio zigzagando per poter riuscire a scorgere, alternativamente a destra e sinistra della fusoliera, la piccola piattaforma sottostante.
Anche il decollo aveva le sue difficoltà: oltre alla brevità dell'involo, lo stesso doveva venire effettuato diagonalmente, data la presenza, tutt'altro che trascurabile, delle sovrastrutture dell'unità. Da non dimenticare, durante le prove in navigazione, la turbolenza creata dalle stesse.
Comunque nonostante le molteplici difficoltà, l'esito fu ampiamente positivo. Come si procedette? Non se ne fece assolutamente niente anche se, in un dibattito parlamentare sull'argomento, avvenuto alla Camera nel corso dello stesso anno, i risultati delle prove vennero definiti molto promettenti.
Prova per appontaggio dell'autogiro Cierva C30 sull'incrociatore Fiume, La Spezia, 1935
Ci vorranno 20 anni (5 luglio 1953), per assistere all'appontaggio di una macchina volante su una nostra unità navale. Quest'ultima è l'incrociatore Giuseppe Garibaldi, l'aeromobile è un elicottero Bell 47-G del Nucleo Elicotteri dell'Aeronautica Militare Italiana, condotto dal Ten. Col. pilota Giulio Marini e dal Ten. pilota Girolamo Del Giudice, la località è la rada di Gaeta, nella quale si trovava alla fonda il Garibaldi.
Il primo agosto 1956 viene costituito il Primo Gruppo Elicotteri della Marina Militare Italiana.