Mettendo ordine le “scartoffie” del Gruppo, mi sono imbattuto in un'articolo contenuto nel periodico mensile dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia dell’Aprile 1983 . Lo scritto è del C/te Vito Sansonetti imbarcato su Nave Alfieri durante lo scontro di Capo Matapan.. (Ricordo che Vito Sansonetti è figlio dell'Amm. Luigi Sansonetti Comandante della 3^ Divisione Navale a Matapan) .
Durante la seconda guerra mondiale e la guerra di liberazione, fui imbarcato su cacciatorpediniere, motosiluranti e M.A.S. Nel primo periodo, in qualità di ufficiale E.T. ero imbarcato sull’ALFIERI comandato dal C.V. Salvatore Toscano*, capo della IX Squadriglia c.c. t.t., di scorta alla prima divisione incrociatori Zara, Pola e Fiume.
Era la notte del 28 marzo 1941, subito dopo lo scontro aeronavale che iniziò dopo il tramonto, quando gli aerei siluranti inglesi attaccarono la squadra navale che, riunita in formazione su cinque colonne, rientrava alla base: sulla sinistra la terza divisione (Trieste, Trento e Bolzano, Amm. Luigi Sansonetti), sulla destra la prima divisione** (Amm. Carlo Cattaneo); al centro la nave da battaglia Vittorio Veneto, con due eliche in meno e più di 4.000 tonnellate di acqua a bordo per il siluro d’aereo incassato nel primo pomeriggio, che pur tuttavia raggiungeva i diciannove nodi di velocità.
Tutte le navi, per proteggere la nave ammiraglia ferita, che bisognava ad ogni costo riportare a casa, avevano aperto un fuoco antiaereo intensissimo, con proiettili traccianti di vari colori, avevano steso cortine di nebbia, avevano acceso i proiettori per abbagliare i piloti e, in quell’atmosfera apocalittica, avevano manovrato brillantemente con accostate a un tempo nella fitta nebbia, obbedendo agli ordini del V.Veneto.
Al “cessate il fuoco” e “cessate la nebbia”, tutti i binocoli erano puntati per vedere chi usciva da quella spessa cortina. Naturalmente io guardavo verso sud e trassi un respiro di sollievo quando vidi comparire tutti gli incrociatori della terza divisione. Purtroppo della nostra prima divisione comparvero solo due incrociatori: sapemmo poi che, in uno degli ultimi attacchi, il Pola aveva ricevuto un siluro, probabilmente diretto al V. Veneto, ed era fermo e privo di energia.
Lascio la parola a me stesso e trascrivo il racconto che feci, al ritorno da quell’avventura.
1.-Poco dopo le 21, ricevemmo l’ordine di invertire la rotta per andare a soccorrere il POLA.
Lo ZARA invertì subito seguito dal FIUME e la Squadriglia ALFIERI si dispose in linea di fila di poppa alla divisione. Navigammo, credo, a 18 miglia di velocità.
I CT. segnalarono successivamente al Comando Squadriglia le rimanenze di acqua e nafta. Il Comandante era preoccupato per il CARDUCCI che aveva segnalato di essere rimasto con sole 125 tonnellate di nafta. Fu chiamato in plancia il Direttore di Macchina ebbe l’ordine di andare a misurare l’esatta rimanenza nostra.
Non ero di guardia, ma come quasi tutti gli ufficiali di vascello, rimasi in plancia e, mantenendomi sull’ala di plancia di sinistra parlavo con S.T.V. Oberto MANFREDI, segretario di squadriglia, che con me pensava che era molto probabile un incontro notturno e ci aspettavamo che da un momento all’altro i C.T. fossero mandati in scorta avanzata. Come Capo Squadriglia l'Alfieri faceva ascolto su varie frequenze ed aveva raccolto molti segnali di avvistamento.
Ad un certo momento, non ricordo l’ora precisa, una vedetta disse di aver visto un lume di prora dritta: per quanto cercassimo, non riuscimmo a vedere nulla. Tornato sull’ala di Plancia di sinistra, ridussi al minimo laintensità luminosa del nostro fanale di coronamento azzurro e ripresi a guardare ancora.
La notte era piuttosto oscura, senza luna e con qualche nuvola, la visibilità molto scarsa specialmente verso levante.
Alle 22,15 circa il Comandante mi chiese se vedevo i caccia; mi girai verso poppa e vidi le sagome dei Ct. In linea di rilevamento alquanto disordinata; mi sembrò strano che non si fossero potuti mantenere in linea di fila; ne avvertii il Comandante.
Pensai che avendo lo ZARA diminuito la velocità, i Ct. Non avvertiti, ci erano venuti addosso e si erano aperti sulla sinistra (oggi 1983, letti i rapporti e visti i grafici inglesi, mi nasce il dubbio che non si trattasse dei nostri caccia, ma c.c.t.t. inglesi Stuart e Haviock che camminavano su rotta a noi parallela e che non ci avevano ancora visto…).
Dopo 10 minuti circa, avvisai il Comandante che i Ct. Non erano ancora a posto ed entrai nel casotto di rotta per vedere a quale ora saremmo giunti sul punto dove supponevamo fosse il POLA. La nostra velocità doveva essere in quel momento 12 miglia.
MANFREDI aveva fatto allora il punto e melo mostrò, riteneva che proprio li avremmo potuto incontrare il nemico. Guardai l’ora,la mostra del tavolo segnava le 22,27, aprii la porta della plancia e la stavo chiudendo quando, attraverso i vetri, vidi improvvisamente una enorme fiammata a poche centinaia di metri dalla nostra prora che si allargo verso dritta. Mi sembrò fosse alta più di una cinquantina di metri e larga più di trenta alla sua base sul mare. Subito udii un rombo vicinissimo di cannone. Corsi fuori e vidi saltare in aria dall’incrociatore colpito schegge infuocate di tutte le grandezze.
Il Comandante dette successivamente questi due ordini: “Avanti massima, tutto a dritta!” Mentre l’Alfieri accostava, il nemico, che non avevamo ancora visto, apri un intenso fuoco illuminante e numerosissimi bengala si accesero su di noi. Sentii il Comandante che diceva: “Siamo stati colpiti”. Ero presso i telefoni e in contatto con i tubi di lancio, mi volsi dicendo: “ Comandante siamo pronti a reagire”.
Ma in quel momento ci accorgemmo che il timone non governava più ed era rimasto tutto alla banda a dritta: la nostra velocità diminuiva, ma la nave continuava a camminare descrivendo cerchi sulla dritta (dalle relazioni inglesi risulterebbe che a far fuoco su di noi, da una distanza di 2.800 metri, fu la nave da battaglia Barham).
Intanto avevo già visto colpire ripetutamente l’incrociatore già colpito, che doveva essere il Fiume, e vedevo cadere vicino a noi salve di parecchi colpi. Durante l’inizio dell’accostata, alla luce dei bengala, avevo visto due nostri caccia accostare a dritta imitando la nostra manovra.
Vedevo sparare su di noi da dritta e da sinistra. Era un fuoco infernale ma non posso precisare la posizione esatta delle navi nemiche perché l’ALFIERI continuando ad accostare, le faceva passare successivamente da una parte all’altra. (fu questa circostanza, diciamo “fortunata”, che obbligò il nemico a manovrare per evitare un investimento e che permise alla nostra nave di reagire in qualche modo, con le armi che le rimanevano).
Il Comandante dette l’ordine di passare al governo di poppa ed il Capitano MODUGNO direttore di macchina, corse verso poppa con il Tenente Ferrario.
Credo che tutto questo sia avvenuto nello spazio di 2 o 3 minuti e che l’ALFIERI doveva già aver ricevuto più colpi. I telefoni non funzionavano più, la nave era tutta illuminata da una luce persistente che non mi sembrò luce di bengala. Il Capitano Modugno aveva chiesto di fermare per poter passare al governo di poppa ed eravamo ormai fermi e sbandati sulla dritta.
Fu allora che il Comandante chiamò il Direttore del tiro T.V. Italo BIMBI, e me come ufficiale E. e T. e disse: “Andiamo a fondo ma combattiamo fino all’ultimo”; e ci mandò alle nostre armi efficienti, perché facessimo tutto il possibile. Il Direttore del Tiro corse al complesso di prora e di là apri il fuoco. Io scesi dalla plancia e mi diressi ai tubi di lancio.
La nave a poppavia del centralino di macchina era tutta invasa dal vapore e dalle fiamme. Il Tenente FERRARO correva con il Capo Meccanico D’ONOFRIO per intercettare le valvole tornando da poppa dove, con il Capitano MODUGNO, aveva ultimato l’operazione del cambio di governo.
Per andare a poppa bisognava passare attraverso il vapore caldissimo mentre la coperta e la draglia di fortuna erano infuocate. Il vapore investiva in pieno i tubi di lancio di poppa rovesciandosi poi sul complesso poppiere.
Salii in piedi sui tubi di lancio di prora. I siluristi erano al loro posto, con le cuffie, e mi chiesero ordini. Li rincuorai e dissi loro di prepararsi al lancio.
Feci brandeggiare l’impianto per chiglia dato che non vedevo ancora da che parte fossero le navi nemiche più vicine; non c’era corrente e occorreva brandeggiare a mano; ordinai di togliere l’angolazione ai siluri, ma per l’oscurità che si alternava a bagliori e la fretta, la manovra non poté essere compiuta con la dovuta precisione.
Il Capo Elettr. EVANGELISTA venne a riferirmi di aver messo in moto i diesel, come gli avevo ordinato, ma che gli era stato impossibile entrare nel locale turbodinamo. Sentivo sotto di me i lamenti degli elettricisti destinati in questo locale, ma mi era impossibile recar loro alcun aiuto.
Da cinque minuti circa il nemico aveva sospeso il fuoco su di noi: ad un tratto vidi sulla sinistra un caccia nemico venirci velocemente addosso, accostando all’ultimo momento come se non ci avesse visto altro che allora. Non feci a tempo a brandeggiargli i siluri addosso. Pochi istanti dopo il caccia appariva sulla dritta facendo fuoco con tutti i cannoni e colpendoci presso il fumaiolo, a prora, e credo, anche nelle mie vicinanze perché sentii delle grida di dolore e fui coperto di cenere calda che non so bene cosa fosse, per poco non fui gettato dai tubi di lancio dallo spostamento di aria.
Avevo prima dato l’ordine di brandeggiare i siluri sulla sinistra; poi, visto che il caccia passava sulla dritta, ordinai di portarli il più rapidamente possibile da questo lato.
La nave era alquanto sbandata sulla dritta ed il cacciatorpediniere nemico passava a non più di 200 metri, il Silurista ARUTA, destinato al brandeggio a mano, ad un certo punto si abbatté esausto: mi accorsi che era gravemente ferito, “Signor Sansonetti non ne posso più” lo aiutai io stesso a brandeggiare e a un certo momento detti il “fuori”. Partirono i primi due siluri. Il lancio era stato fatto in tali condizioni ed a distanza dall’avversario cosi breve che non potevo sperare in un buon esito. Tuttavia avevo la netta convinzione che l’ALFIERI sarebbe presto affondato. Presso a poco nelle medesime condizioni lancia il terzo siluro contro un caccia nemico piuttosto lontano.
Credo che intorno a me rimanessero soltanto due o tre persone valide . (Oggi leggendo i racconti inglesi, troviamo: “quando pensavamo di averli annientati, un caccia lanciò i suoi siluri. Cunningham dette l’ordine alle corazzate di accostare d’urgenza 90° a dritta”.
Sentii allora il Comandante dar l’ordine di gettare le zattere a mare. Mi diressi verso la motolancia dove vidi gente che trafficava ai paranchi, senza aver tolto le rizze. In quel mentre un marinaio gridò che era inutile metterla in mare perché il lato dritto era squarciato.
Ordinai allora di mettere in mare il battello che si trovava sulla sinistra e molta gente corse dall’altro lato. Vidi che lo sbandamento si era accentuato e a poppa e prora divampavano incendi. Passando sulla sinistra sentii netta la voce, che riconobbi per quella del Comandante, che dalla scala di sinistra della plancia o da lì vicino, gridava: “Saluto al RE” .E tutti quelli che erano intorno al battellaccio risposero forte, tanto forte che rimasi colpito; viva il RE!
Il grido ”Viva l’Italia…." Fu sopraffatto da una grande esplosione: ma mi fermai per rispondere anch’io; in quel momento vidi sulla sinistra, a poche centinaia di metri un caccia far fuoco su di noi con tutti i cannoni. Un colpo prese in pieno il battello e un altro mi sembrò raggiungere il casotto di rotta. Sentii ancora per l’ultima volta la voce del Comandante che ordinava perentoriamente: “Tutti a mare…”
Andai allora verso poppa dove si era radunata molta gente e vidi l’ufficiale in 2^ Tenente di Vascello Pietro ZANCARDI e il Direttore di Macchina che si accingevano a buttarsi in mare. Vidi che erano già state messe in mare le zattere di poppa ed allora con il Sig. ZANCARDI incitai gli ultimi rimasti a gettarsi in acqua; poi egli si gettò a sinistra ed io a dritta.
2.- Sarà bene accennare ora quanto era stato visto da alcuni marinai prima e durante il combattimento.
Alcune vedette, tra le quali il Sottocapo Cannoniere PITTALUNGA, asserisco nodi aver visto accendersi sulla sinistra una luce rossa ed immediatamente sempre da sinistra, mentre da una nave veniva acceso sul Fiume un proiettore, da un’altra partiva la prima salva.
Altri asseriscono che poco dopo essere stato immobilizzato, l’ALFIERI veniva preso nella luce di un riflettore e che il caccia contro il quale avevamo lanciato ci aveva lanciato anch’esso i suoi siluri,uno dei quali era passato sotto di noi al centro della nave.
Il Sottonocchiere ANTONINI asserisce di aver visto il Comandante fare un giro della Nave, prima di fermarsi sulla scaletta presso l’obice di sinistra,ordinando il saluto alla Patria e, successivamente , dare l’ordine di gettarsi in mare.
Il S.T.V. Francesco MASCINI ed altri hanno raccontato che, all’invito di lasciare la nave, il Comandante Toscano rispose: “Andate, andate so quello che devo fare” e fu visto per l’ultima volta in piedi sull’ala di plancia di sinistra, col suo cappotto in pelle nera, impassibile,accanto ai suoi feriti e ai suoi morti.
3.- E prima di raccontare il resto, ho il dovere di accennare al contegno dei siluristi e degli elettricisti che erano del mio reparto. I siluristi destinati all’impianto prodiero sono rimasti al loro posto ed hanno eseguito con calma le operazioni di lancio, nonostante i colpi arrivassero vicinissimi e le schegge avessero già ferito e forse ucciso alcuni di loro. Degno di ogni lode il Sottocapo Silurista MARTINOTTI. Degli altri non posso dire singolarmente nulla perché a causa del buio e del vapore che usciva dalla macchina di poppa, non riuscivo a distinguerli, salvo ARUTA, ferito.
Il primo colpo arrivato a bordo aveva messo fuori uso le turbodinamo ferendo ed uccidendo quelli che vi facevano la guardia. Allora ordinai di mettere in moto i diesel e gli elettricisti eseguirono l’ordine con la massima calma. Essi avevano assistito in coperta alle terribili scene inizia lied avevano visto che la Nave era stata ripetutamente colpita. Nonostante questo, scesero nel locale dei Diesel-dinamo mettendo in moto i motori, non tornando più in coperta. Ammirevole il contegno del personale di macchina e soprattutto dei tre sottufficiali che, coadiuvati dal contabile D’ONOFRIO, dal Capo Mecc. ROSSI e dal Carpentiere GIACOMAZZI fecero tutto quanto era in loro potere per intercettare il vapore e rimettere in moto il bastimento ed eseguirono con rapidità la manovra del passaggio alla stazione di governo di poppa, superando grandi difficoltà e senza preoccuparsi minimamente del fuoco micidiale che il nemico aveva concentrato su di noi. (torno a dire che nei primi 10 minuti i colpi piovevano letteralmente intorno a noi).
IN MARE
4.-Quando già stavo per gettarmi in mare, mi accorsi che toltami la giacca di navigazione , ero rimasto con un maglione bianco;allora corsi nell’antiquadrato e misi un maglione azzurro, ricordandomi che i pescecani vedono bene il bianco e non il nero. Poi mi tolsi il binocolo che avevo ancora al collo e mi misi sul petto una lampadina elettrica.
Quindi, come già detto, incitai gli ultimi rimasti a gettarsi in mare e io stesso mi buttai dal paraeliche di dritta.
A una decina di metri da bordo c’era una zattera, dove mi diressi e vi giunsi assieme al Capitano MODUGNO. C’era già molta gente che tentava di prendervi posto. Con l’aiuto di due marinai riuscii togliermi gli stivali e vedendo che eravamo troppi, decisi di raggiungere un'altra zattera che avevo visto lontana un centinaio di metri.
Infatti, la zattera poteva portare si e no 12 persone ed eravamo almeno 60. Consigliai il Capitano MODUGNO di venire con me e, dopo una nuotata abbastanza lunga, raggiungemmo l’altra zattera, dove c’era già una decina di persone.
Prendemmo posto sull’imbarcazione e rincuorando i marinai, li facemmo sedere in modo ordinato perché la zattera si mantenesse in equilibrio.
Il mare era adesso leggermente mosso e pieno di nafta: il combattimento continuava e i caccia nemici tornavano a sparare sulla nostra Nave ormai completamente in fiamme, ma che non accennava affatto a voler affondare; anzi mi sembrava che non fosse più sbandata, ma era tutta avvolta dalle fiamme che specialmente si sprigionavano dalla plancia: l’albero di prora non si vedeva , forse era caduto, mentre l’albero di poppa ancora dritto aveva la bandiera a picco.
Affermo in modo assoluto che non sono frutto di fantasia né di sentimentalismo, i due quadri che mi sono rimasti negli occhi: quello del Comandante che, riunita la poca gente superstite, lanciava per l’ultima volta l’appello della Patria, in uno scenario di fuoco, di spruzzi, di sangue; e poi, dopo, guardando dalla zattera mi volsi a guardare la nostra Nave, vidi nettamente la bandiera che sventolava, dominando quel grande rogo.
Ogni tanto prendeva fuoco una riservetta di munizioni, oppure deflagrava una bomba da getto e in quel punto si vedeva come le eruzione di un vulcano. Era uno spettacolo fantastico e restavamo attoniti a guardarlo mentre continuavano a cadere i colpi vicino a noi e si vedevano lontano altre fiammate ed ogni tanto fasci di proiettori.
Intanto continuavano ad arrivare altri naufraghi, la zattera era ormai piena e circondata da tutti questi nuovi arrivati che desideravano prendervi posto e riposarsi .Allora vedendo che eravamo divenuti più di 30 e che sulla zattera potevano prendere posto solo 14, decisi d’accordo con il Capitano MODUGNO, di stabilire dei turni facendo prendere posto a tutti saltuariamente sulla zattera. Con opera di persuasione piuttosto energica, riuscii a farmi obbedire. Il Capitano MODUGNO ed io scendemmo anche noi in acqua per dare l’esempio ed egli vi rimase più del necessario cedendo il posto ad un sottufficiale ferito; spesso rifiutava l’invito a salire sulla zattera fatto dagli stessi marinai, ed insisteva perché i più stanchi prendessero il suo posto.
Continuai a dirigere il turno sempre con maggior fatica.
A un certo momento un caccia nemico ci passò vicino. Feci i segnali col lampadino e tutti gridammo:; il caccia, che certamente ci aveva visto, perché per poco non ci investi, non si fermò, ma la sua scia fece quasi capovolgere la zattera.
Da quel momento cominciai a vedere che non riuscivo più a tenere calma la gente. Con il Capitano MODUGNO cercavo di infondere coraggio ma sentivo che molti non mi ascoltavano più. Cominciò a morire qualcuno assiderato, tra questi, il cannoniere PENITENTI: e allora quelli che erano in acqua gridavano che volevano salire e quelli che erano sopra non volevano scendere a nessun costo; cominciò una lotta bruta, furibonda per la conquista di un posto sul galleggiante: parevano tutti impazziti.
Questo momento di panico provocò molti capovolgimenti e lo sparpagliamento del gruppo che si assiepava attorno a quel galleggiante. MODUGNO ed io ci eravamo allontanati un po’ dalla zattera e nuotavamo lentamente, aspettando che tornasse la calma. Quando questo avvenne, potei risalire e mettere MODUGNO accanto a me . Era molto stanco, parlava a scatti ed era scosso da brividi di freddo: cercammo di sollevarlo, di riscaldalo, ma non avevamo nulla e, anche noi, eravamo esausti.
Si sentiva lontano ancora il rombo di cannonate. Ad un tratto, di colpo, il rogo che era vicino a noi si spense e cademmo nell’oscurità: l’ALFIERI era sparito.
Fu allora che MODUGNO, che era nelle braccia di un marinaio che si sforzava di mantenerlo sulla zattera, mi tese la mano guardandomi fisso ed io capii che se ne andava. Mantenni la sua mano stretta nella mia per molto tempo, finché un marinaio mi disse”Perché lo teniamo ancora?” che già da almeno mezzora il nostro giovane Direttore di Macchina era dolcemente finito.
Cosi infreddoliti, stanchi e per metà nell’acqua aspettammo il giorno.
5.- All’alba il mare si era calmato tornò a rinfrescare e dovetti fare molta fatica per riuscire a mantenere il peso in modo che la zattera non si capovolgesse. Quando il sole sorse, vidi che eravamo rimasti in 11 ma due erano in pessime condizioni e quasi impazziti. Vidi delle zattere che si erano riunite e sulle quali e sulle quali c’era posto ed allora incitai gli uomini a vogare con le mani per raggiungerle , pensando però anche che era assolutamente necessario mantenersi riuniti.
Ma quelle zattere, che erano fornite di remi, quando noi tentavamo di avvicinarci, si allontanavano. Dopo molti richiami mi riuscì di farmi di farmi gettare i remi, ma la corrente si li portava lontano e non potevamo raggiungerli; un marinaio si gettò in acqua, ma dopo averli presi, non aveva più la forza di tornare fino a noi. Allora invocai quelli delle altre zattere di andarlo a salvare e finalmente vidi staccarsi una zattera sulla quale era il Capitano di Corvetta TRALLORI che raggiunse il pericolante traendolo a bordo. Finalmente riuscii anch’io a riunirmi alle altre tre zattere e vidi che una dell’ALFIERI con a bordo il Tenente D.M. FERRARO che mi aveva gettato i remi, mentre le altre erano dello ZARA. Lontano si vedevano ancora altre zattere alla distanza di 3.000 0 4.000 metri.
Dovevano essere circa le nove quando vedemmo viaggiare sopra di noi un grosso Suderland e cominciammo a fare segnali agitando qualche straccio. Poco dopo ’apparecchio ammarava presso alcune zattere : credetti che avesse ammarato per raccogliere i feriti più gravi, invece alcuni marinai mi riferirono poi che un operatore aveva ripreso il film della scena e quindi l’aereo aveva decollato.
6.- Qualche ora dopo delle grida annunciavano l’arrivo di navi ed infatti presto potei distinguere una formazione navale inglese che si avvicinava. Erano incrociatori che procedevano a zig-zag avendo i caccia in scorta avanzata e dietro si vedevano altri fumi. Poco dopo due caccia si avvicinarono a noi iniziando il salvataggio di zattere che erano tremila metri lontane. Vedemmo molti uomini salire a bordo.
Io ordinai a tutti i marinai delle tre zattere di vogare con i remi e con le mani con tutta la forza possibile e davo io stesso il tempo, ma procedevamo molto lentamente perché le zattere dello ZARA erano molto pesanti e piene di gente; finalmente giungemmo a una trentina di metri dal cacciatorpediniere inglese. Un ufficiale ci gridò “Hallò” e un marinaio ci gettò un sacchetto. Stavamo quasi per prenderlo, quando il caccia fece fuoco e, alzando la testa, vedemmo un aereo da ricognizione tedesco che volava molto basso.
In quel momento le cime delle zattere dei naufraghi già salvati si impigliarono in un elica del caccia che cominciò a manovrare per liberarsi. Le altre navi, intanto, sparavano sull’aereo che continuava a fare larghi giri, limitandosi a osservare quanto accadeva, senza sparare, finché si riemerse nelle nubi.
7.- Cosi rimanemmo nuovamente soli. Si vedevano lontane da noi alcune zattere vuote e decisi di raggiungerle per alleggerire le nostre.
Il Tenente FERRARO rimase con il gruppo di zattere ed io con una zattera piccola andai a raggiungere una zattera vuota. Dopo circa due ore di voga riuscimmo ad avvicinarci all’imbarcazione che il vento spingeva lontano. Era sbandata e quindi avrebbe potuto accogliere pochi uomini, ma vi trovammo dentro una cassetta di viveri in scatola per tre giorni.
Avevamo con noi un piccolo barile di acqua e quando le altre imbarcazioni ci raggiunsero, feci la distribuzione dividendo i viveri in scatola per tre giorni.
La cassetta era di acqua, nonostante dovesse essere stagna e le gallette erano intrise di acqua salata.
Riunii le zattere e feci fare gli opportuni spostamenti per dividere i pesi.
Avevamo trovato uno zaino pieno di roba asciutta e con essa avevamo fatto rivestire quelli che si erano denudati. Alzammo anche dei remi con degli stracci come segnali.
La gente si manteneva piuttosto tranquilla e taciturna ma ad un tratto tutti cominciarono a chiedere di vogare e di costruire delle vele per raggiungere la costa più vicina. Sapevo bene purtroppo quale fosse la nostra posizione e che la miglior cosa era rimanere tutti uniti nel punto di combattimento. Ma per accontentarli e dar loro una speranza che li potesse sostenere, feci alzare delle specie di piccole vele ; ma vietai nel modo più assoluto di vogare perché non si consumassero inutilmente energie, permettendo di far movimenti solo a quelli ancora infreddoliti.
Non c’eravamo ancora bene asciugati ed il mare, leggermente mosso, faceva si che alle volte l’onda ci coprisse quasi fino al petto. Verso il tramonto le zattere cominciarono ad urtarsi in modo tale che fui costretto a slegarle l’una dall’atra, ordinando però di mantenersi vicini.
FERRARO era passato nella mia zattera e in seguito ad un bagno completo fatto verso mezzogiorno, era piuttosto malandato.
Credo fossero le 15 quando passarono molto alti aerei nazionali che non credo riuscissero a vederci.
Poi la nostra zattera cominciò a fare acqua e, avendone visto lontana un'altra, decisi di raggiungerla, cosa che riuscimmo a fare dopo almeno due ore di voga; era una zattera molto piccola, nuovissima, probabilmente appartenente ad un caccia e aveva a bordo una cassetta di viveri.
Quando stava già facendo notte, ci riunimmo di nuovo. Ora il numero delle zattere era aumentato perché verso sera ne avevamo incontrate delle altre che avevamo inizialmente scambiato per lance. Con grandi sforzi riuscimmo a congiungerci: erano piene di marinai e sottufficiali del FIUME e dello ZARA. Tutti insieme nella semioscurità, recitammo la preghiera del marinaio.
Verso le 21 si mise vento fresco da sud e il mare cominciò ad agitarsi; fui costretto a separare le imbarcazioni raccomandando di mantenersi vicini. Ci preparammo per passare la seconda notte. Sulla mia zattera misi l’acqua e una cassetta di viveri proibendo a chiunque di mangiare. La sete, caso strano non si era ancora fatta sentire.
Eravamo in sei su una zattera piccolissima e stavamo tutti stretti l’uno all’altro per cercare di riscaldarci, c’eravamo messi sulla testa un telo di branda bagnato per ripararci dal vento; eravamo nuovamente tutti bagnati fino al petto stando a sedere nell’acqua.
Il caccia accostò a sinistra e si fermò a un miglio da noi. Allora ordinai ai miei marinai di vogare con tutta la loro forza e davo io stesso il col fischio, anche per farmi dal caccia.
Non so quanto durasse l’ultima vogata, a noi sembrò eterna. Giunti sottobordo avemmo la spiacevole sorpresa di vedere che il caccia era mimetizzato e aveva la bandiera greca.
Mentre salivo per ultimo a bordo, la zattera si allontanò e caddi nuovamente in mare rimanendo impigliato con un braccio nella cima, con la quale i marinai greci mi tirarono a bordo.
Appena in coperta dissi di essere ufficiale e mi feci subito accompagnare in plancia dove spiegai in francese al Comandante che c’erano altre otto o nove zattere nelle vicinanze. Mi disse che si era fermato perché aveva sentito il mio fischio, che già salvato 12 uomini e mi offrii una sigaretta: poi mise avanti nella direzione da me indicata . Poco dopo Raccoglievamo tutti gli uomini delle altre zattere che erano stati con me.
Pregai il Comandante di girare ancora e, dopo due ore e venti da quando il caccia si era fermato trovammo ancora un’altra zattera. Erano stati cosi salvati centodieci uomini.
Il Comandante mi disse che la sua missione era terminata e che era costretto a rientrare. Lo ringraziai e scesi dalla plancia. Fui accompagnato nel quadrato sottufficiali dove stavo già per spogliarmi quando fui richiamato subito il plancia . Si sentivano delle grida sotto la prora. Mi diressi in quel punto e vidi un’altra zattera con tre o quattro persone e tre uomini in acqua che nuotavano verso il caccia. Indicai loro il punto dove trovavasi la scala ma gli uomini in acqua erano esausti e quelli sulla zattera non avevano i remi; uno come poi ha saputo, era già morto.
Il Comandante fece mettere in mare un battello che con molta difficoltà, a causa del mare mosso, riuscì a portare a bordo i naufraghi.
Tra questi era il Capitano di Corvetta CABLERI direttore del tiro del FIUME, che quando giunse a bordo era svenuto e disperavano di poterlo salvare. Ma il medico di bordo con sollecite cure riuscì farlo rinvenire e lo fece trasportare in quadrato sottufficiali.
Anch’io scesi e dopo aver, come FERRARO, mangiato e bevuto tutto quello che mi offrirono, mi avvolsi in una coperta e gettatomi su una cuccetta caddi in letargo.
9.- Il mattino del 30 marzo sbarcammo dall’Hidra, questo era il nome del caccia e fummo condotti in una scuola navale nella Baia di Salamina.
Fummo subito interrogati dal Capo di Stato Maggiore della Base. Ci vennero chiesti particolari sul combattimento e ci fu chiesti particolari sul combattimento e ci fu chiesto con insistenza se il VITTORIO VENETO era stato affondato. Rispondemmo invariabilmente che l’avevamo visto camminare tranquillo a 25 miglia di velocità e che godeva ottima salute.
Fummo alloggiati in una stanza del circolo e davanti alla porta avevamo due o tre sentinelle.
Gli ufficiali greci si mostrarono cortesi e ci dettero dei libri per passare il tempo: ma in seguito a tassative disposizioni impartite dall’Ammiraglio, fu proibito a chiunque di avvicinarsi.
Si mangiava bene ed un medico veniva spesso ad informarsi della nostra salute. Ci fu proibito comunicare con i marinai.
Ricevemmo diverse visite di giornalisti e fotografi greci, inglesi e australiani. Ci fu anche un interrogatorio alla presenza del Comandante dell’incrociatore inglese AJAX, il quale disse che, il mattino del 28 marzo, aveva passato un brutto quarto d’ora nello scontro con la divisione TRIESTE, nave che batteva l’insegna di mio padre e col VITTORUIO VENETO.
Interrompo qui il racconto dell’allora S.T.V. perché sarebbe troppo lungo trascrivere tutta quell’odissea o anabasi, attraverso il Peloponneso, in una ritirata verso il sud sotto l’incalzare dell’avanzata tedesca e italiana e sotto incessanti e micidiali bombardamenti di Stukas, fino all’assedio finale di ufficiali italiani trincerati in una scuola assalita da donne scarmigliate e urlanti armate di falci e coltellacci e fino alla liberazione ad opera dei tedeschi.
Dopo una sosta nel campo di ex prigionieri italiani a Corinto, dove mi dedicai alla loro riorganizzazione fino alla loro consegna al nostro esercito sopraggiunto, il14 maggio 1941ripartrii per l’Italia in uniforme d’alpino, essendo stato fatto tenente dagli alpini della Julia “ad honorem”….
Due mesi dopo al comando della motosilurante 7 D (ex jugoslava SUVOBOR), rientravo nel Mar Egeo ed avevo modo di esternare la mia riconoscenza a tutti quei greci che ci avevano aiutato, a cominciare dai marinai dell’Hidra che, nel frattempo era stato affondato.
CONSIDERAZIONI SULLO SCONTRO DI MATAPAN ALLA LUCE DEI FATTI E RIVELAZIONI POSTERIORI.
Penne molto autorevoli e meno autorevoli hanno scritto su questa battaglia numerosi volumi e hanno detto molte cose… Oggi alla luce dei fatti e di tante notizie e rivelazioni avute in questi ultimi anni, possiamo fare le seguenti considerazioni senza tema di smentite.
-Gli inglesi possedevano la macchina ENIGMA che permetteva loro di decifrare i segnali tedeschi e pertanto, poiché in preparazione di quell’ultima nostra missione, di quei segnali ce ne furono molti, conobbero della azione, che “ voleva essere di sorpresa”, prima ancora che noi uscissimo in mare.
Ci sorpresero loro, presentandosi con tutta la flotta di Alessandria, compresa una portaerei; ed avevano il radar che noi, pur avendolo realizzato, per mancanza di fondi, non avevamo ancora. Fu proprio il radar a far si che due incrociatori che portavano soccorso a unità similari colpita da un aereo, andassero a finire a poche centinaia di metri da tre corazzate ; fu come se due ragazzi bendati fossero entrati inavvertitamente in una stanza e ricevere i colpi di tre Cassius Clay, con gli occhi ben aperti.
- Gli inglesi ottennero certamente un brillante successo, annientando una nostra divisione di incrociatori, ma non raggiunsero il loro scopo fondamentale: la distruzione della nostra nave da battaglia già Ferita . Lo stesso loro Comandante Ammiraglio Cunningham, nel suo rapporto finale sottolinea: “ i risultati dell’azione non possono essere considerati con soddisfazione completa,perché la Vittorio Veneto, danneggiata , riuscì a sfuggire”.
Il sacrificio della nostra Divisione trattenne tutta la forza nemica il tempo sufficiente per non consentire poi di raggiungere il Vittorio Veneto e,distruggendolo, cambiare il corso della guerra.
-Contrariamente a quanto qualcuno ha affermato, lo scontro di Capo Matapan, pur rappresentando un brillante successo inglese, NON EBBE RIPERCUSSIONI DI RILIEVO SULL’ANDAMENTO E SULL’ESITO DELLA NOSTRA GUERRA. Dopo Matapan, i nostri avversari dovettero lottare ben due anni per conquistare il dominio del Mediterraneo, ma fino a quel momento noi riuscimmo a far giungere in Libia e Cirenaica rifornimenti in misura enormemente superiore a ogni previsione.
Dopo Matapan, i nostri avversari dovettero ritirarsi non solo dalla Grecia e da Creta per le azioni germaniche, ma soprattutto in Africa dove la Marina italiana, che non aveva affatto il dominio del Mediterraneo Centrale, portò uomini e mezzi. Si può obbiettivamente affermare che, fino alla fine del 42(più di un anno e mezzo dopo Matapan), si ebbero saltuariamente l’equilibrio tra avversari, come è dimostrato dal flusso riflusso delle perdite e due riconquiste della Cirenaica. L’elemento che decise questo periodo della guerra fu L’ACQUISTO DEL DOMINIO DELL’ARIA DA PARTE AVVERSARIA, SIA SUL MARE, SIA SUI PORTI.
LA SVOLTA che decise le sorti, FU LA SOSPENSIONE DEL BOMBARDAMENTO INTENSIVO SU MALTA E LA CONSEGUENTE RINUNCIA ALLO BARCO E OCCUPAZIONE DELL’ISOLA, già in fase di avviata preparazione nell’aprile del 42; contro il parere della nostra Marina prevalse il punto di vista dell’Alto COMANDO GERMANICO, restio per natura e per tradizione a comprendere il punto di vista marittimo.
Finalmente, chi ci piegò non fu la flotta inglese, ma lo strapotente potere aereo, navale e terrestre americano.
Con Garibaldi, il motto unico della Marina fu “Obbedisco”!”
Le nostre navi sia da guerra, sia mercantili non si tirarono mai indietro di fronte a qualsiasi missione, neanche dalla cosiddetta “rotta della morte”. Alla fine, la nostra flotta era pronta ad affrontare l’ultima battaglia con le navi maggiori e con tutto quanto rimaneva di naviglio leggero e sommergibili. Supermarina aveva previsto lo sbarco a Salerno, in quelle acque, si sarebbe scritta l’ultima pagina contro tutte le forze alleate. La breve distanza da Genova e dalla Spezia e la poca nafta disponibile lo avrebbero permesso. A questo era preparato il Comandante in Capo Amm. Carlo Bergamini, a questo erano preparati tutti i suoi uomini, pronti e decisi a giocare l’ultima carta.
La Marina invece, salvo rare eccezioni, dette, soprattutto in quella occasione, uno splendido esempio di disciplina obbedendo al più amaro degli ordini, nel rispetto delle clausole dell’armistizio firmato a sua insaputa. E, in obbedienza a quell’ordine, 100 ordinatissime navi si diressero al sud non per arrendersi, ma sospendere le ostilità. Per compiere quest’ultima missione, nell’ultimo giorno di guerra, si sacrificò sull’altare del Mediterraneo, la nave Ammiraglia della flotta con il Comandante in Capo e il suo Stato Maggiore.
Superato l’armistizio, la Marina pronta a riprendere il mare nella guerra di liberazione, apportando il suo notevole contributo di sangue.
Passò poi come un macigno attraverso la crisi istituzionale e fu la prima pietra della ricostruzione d’Italia.
Noi che siamo fuori dalla Marina e dalla Patria, ma con il cuore sempre dentro, ci auguriamo che la “nostra Marina” sia sempre una solida colonna su cui possa appoggiare l’avvenire del Paese.
Cosi riposeranno tranquilli i nostri morti di Capo Matapan e i morti di tutte le nostre guerre sul mare
C.F. Vito Sansonetti
Presidente del Gruppo A.N.M.I.
“G. Cosulich” di Costa Rica
* M.O.V.M. alla memoria:Comandante di una squadriglia di cacciatorpediniere, consacrava tutte le sue energie fisiche e spirituali al servizio della nobile causa del dovere e dell'ardimento. In un aspro combattimento notturno contro soverchianti forze, sebbene la sua unità fosse stata inizialmente colpita in modo irreparabile dall'offesa nemica, ordinava e dirigeva con le poche armi rimaste efficienti un'audace e violenta reazione contro le navi attaccanti. Con indomito coraggio deciso a far pagare cara al nemico la perdita dell'unità, continuava nell'impari lotta fino all'esaurimento dei mezzi offensivi.
Nell'impossibilità di ulteriore resistenza, mentre la nave dilaniata dalle esplosioni e in preda alle fiamme cominciava ad affondare, ordinato agli ufficiali ed all'equipaggio di porsi in salvo, rifiutava stoicamente l'invito dei suoi uomini che lo supplicavano di salvarsi e, rimasto in piedi sulla plancia, in una suprema sfida al nemico, condivideva fieramente il destino della sua nave che si inabissava.
Mediterraneo Orientale, 28 marzo 1941
**Facevano parte della 1^ Div. Navale: Incrociatori Pola; Zara; Fiume ; caccia Alfieri e Carducci
Elenco dei Caduti Dispesi diel Cacciatorpediniere Vittorio Alfieri
IL C.T. VITTORIO ALFIERI A CAPO MATAPAN
Considerazione alla luce dei fatti e delle rivelazioni che seguirono.
Del Com.te Vito Sansonetti